Regina Viarum. La via Appia nella grafica tra Cinquecento e Novecento

Istituto centrale per la grafica – Sale espositive del Palazzo della Calcografia

via della Stamperia 6

20 settembre 2023  – 7 gennaio 2024

Septizodium
La nostra seconda sosta lungo la via Appia ci conduce presso un monumento ormai perduto che ha affascinato con la sua grandiosità i viaggiatori che per secoli dal Sud giungevano fino a Roma: il Septizodium o Settizonio. Costruito dall’imperatore Settimio Severo nel 203 d.C. in connessione con il quartiere imperiale edificato da Domiziano, era uno spettacolare edificio, lungo circa 89 metri, composto da tre grandi nicchie semicircolari e due avancorpi laterali quadrati su più piani, decorato con marmi policromi, colonne corinzie, fontane e sculture. Era situato ai piedi del Palatino, dal lato del Circo Massimo.
I numerosi disegni realizzati dagli artisti nel Rinascimento ci consentono di ammirarlo ancora oggi nonostante la demolizione avvenuta per opera dell’architetto Domenico Fontana nel 1589. Già a partire dal Medio Evo, però, l’imponente edificio era stato progressivamente spogliato dei preziosi marmi che venivano riutilizzati in altri monumenti e palazzi.
Nel corso del suo soggiorno a Roma, avvenuto tra il 1532 e il 1535, l’artista olandese Maarten van Heemskerck (4) realizzò disegni dei principali monumenti antichi, delle statue classiche, di paesaggi e vedute cittadine. Il viaggio in Italia e a Roma era per gli artisti stranieri un momento di formazione molto importante per la possibilità di studiare l’arte antica e moderna. Van Heemskerck si interessò all’opera di Michelangelo e Giulio Romano, oltre che all’epoca classica. Non poteva mancare nella sua ricca produzione disegnativa il Settizonio di cui restituisce minuziosamente la struttura architettonica. L’edificio è presentato isolato, in una visione obliqua dal basso verso l’alto che ne accentua il carattere di rudere e il nuovo uso come residenza fortificata. Piccole figure sono delineate ai piedi della struttura enfatizzandone le dimensioni colossali. Il nome dell’artista che si legge sul cornicione non è una firma, ma un’aggiunta più tarda.
Alla seconda metà del Cinquecento data il disegno di Alberto Alberti (5), poliedrico artista toscano che lavorò a Roma a partire dal 1547 realizzando numerose e importanti rappresentazioni degli antichi monumenti romani. Tra queste, si trova anche il Settizonio che Alberti delinea nell’alzato e in parte della pianta. Ai lati del foglio sono tratteggiati dettagli ingranditi delle colonne che ne caratterizzavano la facciata. Le informazioni che ci fornisce il disegno sono molto preziose per la conoscenza dell’architettura dell’edificio: grazie anche alle annotazioni sul foglio si è infatti compreso che erano presenti due tipologie di colonne, rudentate – con le scanalature riempite per un terzo da elementi a forma di bastone – e lisce, nei tre ordini sovrapposti.
L’incisione di Étienne Dupérac (5), noto topografo, incisore e architetto, raffigura il Settizonio con uno sguardo attento e analitico che si sofferma sulla struttura architettonica caratterizzata dai tre ordini architravati decorati da colonne. L’edificio è inserito all’interno di una veduta di ampio respiro che include le rovine del Palatino. Pubblicata all’interno de I vestigi dell’Antichità di Roma raccolti e ritratti in perspectiva con ogni diligenza, stampata nel 1575 a Roma dal noto editore Lorenzo della Vaccheria (Vaccaro), è una delle 38 tavole che riproducono i principali monumenti romani accompagnate da didascalie contenenti notizie storico-critiche. La didascalia in fondo all’immagine ci informa che l’edificio rappresentato è il Settizonio, un sepolcro costruito dall’imperatore Settimio Severo per impressionare i viaggiatori provenienti dall’Africa con la ricchezza di bellissime colonne di varie pietre colorate (mischie nel testo),  Ci dice inoltre che era chiamato anche “settisolio” per la presenza di sette rappresentazioni astrali o divinità solari. Le opere di Dupérac sono un modello fondamentale per la veduta archeologica, una tipologia di rappresentazione che era sempre più richiesta dal pubblico, anche non colto.

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