Nella Giornata Nazionale del Paesaggio, l’Istituto centrale per la grafica presenta un’opera di Giorgio Morandi, artista tra i maggiori del Novecento italiano, che ha dedicato al tema una gran parte della sua produzione, soprattutto pittorica, altrimenti riservata alle celebri nature morte. I paesaggi di Morandi sono quelli della sua Grizzana, di Bologna e dei dintorni, come questo in cui il fiume Savena è una luminosa linea bianca curva che attraversa la composizione. Sono luoghi in cui non è prevista la presenza dell’uomo se non indirettamente, nei dettagli di paesaggio “antropizzato”, come casali, covoni, reti di recinzione, ciminiere lontane della bassa padana. E questo perché il soggetto per Morandi vuole essere il pretesto per l’applicazione di un metodo conoscitivo che non intende approfondire l’oggetto della rappresentazione, bensì “verificare la possibilità di esistenza di quell’oggetto nello spazio”, come comprese Giulio Carlo Argan. In questo senso la pittura e l’incisione di Morandi interpretano con estrema raffinatezza la via italiana all’astrattismo.

Giorgio Morandi, Paesaggio sul Savena, 1929, acquaforte su rame elettrolitico, ICG, Calcoteca, VIC 1799/30

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Egli si avvicinò all’incisione da autodidatta; gli inizi coincidono con gli anni della Metafisica alla quale, non a caso, si era accostato. Alla fine degli anni Venti padroneggiava la tecnica dell’acquaforte, quasi sempre impiegata con una morsura piana, che maggiormente si confaceva ai valori tonali e plastici del suo intendimento artistico, e “per tasselli” giustapposti che – nelle stampe come nella pittura – richiamano Cézanne e la scomposizione cubista. Incise questa lastra con una punta ad ago, avendo raggiunto la piena maturità di espressione attraverso la tecnica, e profilandosi ormai come una delle figure emergenti nel Bianco e Nero alla Biennale del 1928. Di pochi anni successivo è l’avvio dell’intenso e fitto carteggio, durato circa trent’anni, tra Morandi e il direttore della Calcografia Carlo Alberto Petrucci. Un rapporto di amicizia, oltre che di stima professionale, che si consolidò nel tempo e che indusse Petrucci a richiedere a Morandi, verso la fine della sua attività, e a seguito dell’esposizione del 1948 promossa dal direttore stesso, il lascito alla Calcografia Nazionale di tutte le sue matrici incise. Era il 1950 quando Petrucci scrisse a un Morandi diffidente e riluttante a separarsi dalle lastre (nel timore che potessero, dopo la sua morte, essere licenziate tirature sulle quali non avrebbe più avuto il controllo): “… mi viene in mente un’altra soluzione. Si tratterebbe di incidere sopra un angolo di ogni lastra un numero d’ordine … In questo modo, oltre a continuare una tradizione del genere che fu fatta anche per Piranesi, si eviterebbe di guastare sia pure di poco le lastre, e si avrebbe il vantaggio di identificare subito il lavoro … Se l’idea ti va dimmelo subito”. Morandi si sentì garantito da quella procedura, laddove la presenza di un numero romano sull’incisione sarebbe stato a significare un’edizione postuma, non più governata dall’autore. E accettò.

Ecco come sono giunte in Calcografia, oggi Istituto centrale per la grafica, la maggior parte delle sue matrici, uno dei fondi più apprezzati e valorizzati della nostra Calcoteca. Nel 2015, nel cinquantenario della morte di Giorgio Morandi, l’Istituto ha pubblicato il volume Morandi in Calcografia che comprende il catalogo completo dei rami e ne ripercorre la vicenda storico-critica. Per la stessa occasione, l’Istituto ha esposto molte delle matrici sulle quali è stato svolto un attento lavoro di restauro e revisione catalografica.

 

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