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Dal ripristino dell’inciso all’acciaiatura e alle repliche galvaniche

Il ruolo della Calcografia Romana.

Mostra a cura di Anna Grelle Iusco e Giuseppe Trassari Filippetto.

Inaugurazione Martedì 27 febbraio 2001 ore 18.00 –

Palazzo di Fontana di Trevi – Via Poli, 54

Attraverso interventi effettuati su opere di eccezionale interesse, che vanno da Du Pérac a Piranesi, a Volpato, a Rossini, a Calamatta, la mostra illustra taluni fattori che hanno caratterizzato la costante ricerca di garantire la moltiplicabilità dell’immagine incisa superando l’ostacolo determinato dalla progressiva, inevitabile, usura delle matrici.

Sono presentati casi di degrado risolti mediante il ripristino dell’inciso, non di rado radicale: un metodo che oggi sarebbe inconcepibile proporre ma che per lungo tempo non ha comportato alcuna esitazione in quanto attuati su prodotti cui non era riconosciuta la valenza della piena artisticità; e per di più in momenti nei quali il ripristino interpretativo era legittimato dagli interventi su manufatti di altra tipologia generalmente riconosciuti a pieno titolo come opere d’arte.

Ci si sofferma poi sull’acciaiatura, il ritrovato tecnico che ha consentito, a decorrere dalla metà dell’Ottocento, il graduale passaggio dal ripristino dell’inciso danneggiato dall’usura alla prevenzione dell’usura: un processo all’inizio sollecitato certamente dalle motivazioni economiche insite nell’alto costo dei “restauri” e in seguito consolidato dal lento affermarsi, in particolare negli anni Venti del Novecento, della cultura della matrice, e dal progressivo, anche se discontinuo, riconoscimento dei valori di unicità e irripetibilità complementari alla sua peculiarità di produrre multipli cartacei.

Infine la galvanoplastica, l’ipotesi più aggiornata.

Sono esposte interessanti controforme e repliche ottocentesche da matrici di Luigi Calamatta e Giuseppe Marcucci, realizzate probabilmente per assicurare non soltanto la disponibilità di un grande numero di stampe ma anche la possibilità di effettuare tirature contemporaneamente, in città diverse, fra loro distanti.

L’excursus si conclude con informazioni di prima mano sulle sperimentazioni che l’Istituto Nazionale per la Grafica sta conducendo sin dal 1995 in tale ambito, ma con diversa tecnologia, nell’intento di produrre repliche perfettamente identiche alla matrice originale senza arrecare ad essa alcun danno e assicurando da una parte la sua salvaguardia mediante l’estromissione dal circuito lavorativo e dall’altra il naturale e pieno compimento, nella tiratura su carta, del progetto artistico in essa insito.

I calchi e controcalchi in mostra evidenziano le difficoltà tecniche che l’Istituto Nazionale per la Grafica ha affrontato, avvalendosi dell’apporto specialistico dell’Istituto Centrale del Restauro e dell’ENEA, e documentano l’avanzato stato di soluzione di tali difficoltà cui si è pervenuti con la replica galvanica dell’Ercole di Giorgio Ghisi, appena ultimata, su committenza dell’Istituto Nazionale per la Grafica, dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, interlocutore storico della Calcografia Romana.

Il catalogo a cura di Anna Grelle Iusco e Giuseppe Trassari Filippetto è edito da Artemide Edizioni

Il riconoscimento delle matrici calcografiche quali prodotti artistici è frutto di un’acquisizione critica piuttosto recente, alla quale l’Istituto Nazionale per la Grafica ha fortemente contribuito con la sua ormai più che ventennale attività di valorizzazione e studio del proprio notevolissimo patrimonio (la più consistente raccolta del mondo, costituita da circa ventitremila lastre) e con il costante impegno sul territorio nazionale.

Per molto tempo l’interesse per le matrici ha oltrepassato raramente i limiti dell’interesse abitualmente riservato a strumenti di lavoro.

Il valore delle matrici era dunque strettamente, anche se non esclusivamente, correlato all’integrità della loro materia.

I degradi da usura accomunavano pertanto stamperie private e di Stato in un unico inquietante problema e in drastici ripristini della stampabilità, intesi quali ripristini dell’inciso: interventi questi che non comportavano alcuna esitazione in quanto attuati su prodotti cui non era riconosciuta la valenza della piena artisticità e per di più in momenti nei quali il ripristino interpretativo era legittimato da analoghi interventi su manufatti riconosciuti a pieno titolo come opere d’arte.

E così è stato sinché nuovi ritrovati tecnici non hanno consentito, a decorrere dalla metà dell’Ottocento, il graduale passaggio dal ripristino dell’inciso danneggiato alla prevenzione dell’usura: un processo all’inizio sollecitato certamente dalle motivazioni economiche insite nell’alto costo dei “restauri” e in seguito consolidato dal lento affermarsi della “cultura della matrice” e dal progressivo, anche se discontinuo, riconoscimento dei valori di unicità e irripetibilità complementari alla sua peculiarità di produrre multipli cartacei.

La mostra ripercorre questo iter e ne focalizza tre elementi caratterizzanti:

  • DEGRADI DA TIRATURE E RIPRISTINO DELL’INCISO;
  • ACCIAIATURA;
  • REPLICHE GALVANICHE.

L’excursus si conclude con informazioni sulle sperimentazioni e sui risultati ottenuti dall’Istituto Nazionale per la Grafica nell’ambito di un Progetto Sperimentale di replica galvanica delle proprie matrici, avviato nel 1995 e tuttora in corso.

I degradi da tirature

Le maggiori cause dei degradi che usurano, nel tempo, le matrici calcografiche sono da individuare nelle operazioni di stampa.

L’inchiostrazione, la ripulitura dell’inchiostro in eccesso, la finitura con il palmo della mano o, come oggi spesso è in uso, con fogli di carta, esercitano una leggera azione abrasiva che provoca a lungo andare l’usura della superficie metallica della matrice, con conseguente deterioramento dei segni incisi.

Tale deterioramento riduce, a volte in maniera drastica, la funzione propria degli incavi – soprattutto di quelli più finemente incisi – di trattenere una quantità di inchiostro proporzionale alla loro profondità.

Il trasferimento dell’immagine dalla matrice al foglio di carta, che prevede il passaggio di matrice e foglio tra i cilindri del torchio calcografico, incrementa ulteriormente i danni dell’incisione per effetto dell’abrasione dinamica e in più sottopone la lastra a diverse e ripetute sollecitazioni meccaniche che agiscono prevalentemente sul metallo.

La notevole pressione esercitata dai cilindri del torchio (calcolabile tra i cinque e dieci quintali per decimetro quadro) durante lo scorrimento del piano sottopone infatti la matrice a un logorio fisico tale da provocare l’innesco di fenomeni di tenso-corrosione. Le conseguenti criccature del metallo possono produrre, se le sollecitazioni meccaniche si ripetono ciclicamente, la frattura per faticadella lastra. Tali degradi sono inoltre favoriti dal tipo di lavorazione con cui furono realizzate, almeno fino ai primi anni del secolo XX, le lastre da incidere: l’incrudimento, ovvero l’assottigliamento del rame per mezzo della martellatura o del maglio meccanico – effettuato per dimensionare il manufatto e aumentarne la durezza – incrementa infatti la fragilità del metallo che, di conseguenza, è così maggiormente soggetto ai degradi da stress meccanico.

L’usura degli incavi determina uno squilibrio dei rapporti chiaroscurali originari a causa delle ripetute tirature. Questo fenomeno si accentua sempre di più fino a modificare completamente la figurazione o, addirittura, a renderla illeggibile.

 Il ripristino dell’inciso: il ruolo della Calcografia

La stampabilità dell’immagine veniva ripristinata sovrapponendo all’inciso usurato nuove trame segniche, eseguite quasi sempre con il bulino, qualunque fosse la loro tecnica originaria, in modo più o meno disordinato, senza preoccuparsi di rispettare la geometria intrinseca dell’elaborato grafico originale.

Quando però l’incisione, soprattutto quella di traduzione, acquisisce una grammatica ed una sintassi propria, il recupero della matrice tende non solo a ripristinare la stampabilità dell’immagine ma anche a conservare inalterate le soluzioni grafiche originali: solo un paziente e lungo lavoro di rientro negli incavi, segno per segno, per ristabilirne la profondità iniziale, può dar luogo a questo tipo direstauro funzionale.

Le matrici esposte evidenziano differenti livelli e tipologie di danni da usura e di ripristino integrativo dell’incisione.

Ai limiti di tali ambiti sono le presenze, emblematiche ma non singolari, del Gioco dell’oca, ormai ridotto a lacerto, e della serie dellaAntiquae…urbis Romae Sciographia, incisa ad acquaforte nel 1574 da Étienne Du Pérac, ma ripristinata a bulino nella bottega di Francesco Villamena, nei primi anni del Seicento, in maniera così radicale da farla ritenere a lungo opera di questo incisore.

La testimonianza della conformità degli orientamenti della Calcografia Romana a quelli delle stamperie private è affidata a due lastre di Raffaele Morghen – Aurora dal Reni e Giurisprudenza da Raffaello – che nell’ambito della loro complessa vicenda conservativa annoverano i restauri eseguiti da Giovanni Buonafede e da Giuseppe Marcucci: due incisori dunque, evidentemente cooptati con intenti di ripristino e non certo di mera nettatura delle opere.

L’acciaiatura e la cromatura come prevenzione dei degradi da usura

Nel 1833 Michael Faraday individua le leggi che regolano il fenomeno della elettrodeposizione dei metalli mediante elettrolisi.

In pratica: un metallo (rame, acciaio, nichel, cromo ecc.) allacciato al polo positivo di una pila (anodo) ed un manufatto metallico, allacciato al polo negativo (catodo), se immersi in una soluzione acquosa, resa conduttiva con l’aggiunta di sali , costituiscono una cella elettrolitica. Il fenomeno di elettrolisi che ne scaturisce provoca una scomposizione del metallo anodico in ioni positivi che, con il passaggio della corrente, migrano verso il catodo e si depositano sullo stampo, o sulla superficie metallica, formando un deposito più o meno spesso. La qualità e lo spessore di tale deposito metallico sono determinati dal tipo di sale disciolto nel bagno elettrolitico e dalla densità di corrente utilizzata.

La galvanostegia, ovvero il procedimento di deposizione elettrolitica sfruttato per ricoprire un metallo con uno strato sottilissimo (qualche micron o frazione di micron) di un altro, generalmente più nobile o più duro, fu una delle prime applicazioni effettive dei bagni elettrolitici alle matrici calcografiche.

La possibilità di indurire la superficie di una lastra incisa con un sottile strato d’acciaio risolveva non pochi problemi e in primo luogo consentiva di abbandonare il ricorso al ripristino da parte di incisori in quanto l’acciaiatura permetteva di tirare la matrice fino a che, per gli stessi fenomeni di abrasione che logorano la lastra non protetta, questa non si usurava.

A quel punto essa poteva essere rinnovata, senza deteriorare l’incisione.

Inoltre una lastra acciaiata acquista in freschezza: per il fenomeno detto effetto punta, il deposito degli ioni positivi sul metallo catodico avviene infatti più rapidamente sui bordi dei segni incisi che sulla superficie piana.

Ma l’acciaiatura poneva a sua volta problemi conservativi: è infatti nota la reattività dell’acciaio agli agenti atmosferici che ne compromettono facilmente la integrità, con tutti i problemi che ne conseguono.

Con il perfezionarsi dei procedimenti galvanici si è arrivati a sostituire l’acciaiatura con la cromatura che offriva il vantaggio della più elevata durezza del cromo rispetto all’acciaio e, specialmente, della notevole resistenza ai degradi ambientali.

Il ruolo della Calcografia

Il vigile interesse da parte della Calcografia per l’innovativa tecnica dell’acciaiatura e l’intento di avvalersene per prevenire l’usura delle trame segniche delle matrici emergono già agli inizi della seconda metà dell’Ottocento dai verbali delle Adunanze della Commissione Artistica che affiancava il direttore nella gestione dell’Istituto.

Una esplicitazione di tale interesse è documentato da una cinquantina di stampe che, come risulta dalle annotazioni manoscritte ottocentesche apposte in margine ai fogli, vennero tirate negli anni 1859-1861 per verificare lo stato delle corrispondenti matrici prima e dopo gli interventi di acciaiatura.

Da questo piccolo “fondo” provengono le quattro stampe esposte pertinenti alle matrici del Parnaso, di Giovanni Volpato da Raffaello, e dell’Incoronazione della Vergine, di Pietro Folo ancora da Raffaello.

Nel 1891 venne ufficialmente istituito in Calcografia un Gabinetto per l’acciaiatura ancora attivo nel 1923.

La documentazione dell’ampio ambito di applicazione della nuova tecnica nei successivi decenni è lasciata a due fotoriproduzioni del tardo Ottocento e ad alcune matrici ad acquaforte, di Franz Van Neue, di Giovanni Battista Piranesi e del figlio Francesco.

Un nuovo corso si affianca negli anni Trenta.

Il 12 aprile 1930 si concludeva la sperimentazione sulla matrice del Duflos con Osteria a Ponte Salario di un nuovo metodo probabilmente di cromatura, suggerito dalla ditta Arrigo Marendino come idoneo a determinare “l’irrobustimento della parte incisa mediante una speciale applicazione”.

E di cromatura utilizzata a titolo sperimentale per la protezione di due matrici, una di Pietro Bettelini (Santa Maria Maddalena) e l’altra di Roschwein (Sacra Famiglia), entrambi da Vincenzo Camuccini, si tratterà, assai più tardi, in una relazione del 18 novembre 1974.

Fra questi due termini cronologici si colloca, in Calcografia, quell’affermazione della cromatura, quale tecnica per la protezione dell’inciso delle matrici, che ha trovato la più estensiva attuazione nella campagna, realizzata negli anni 1958-1960 dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, documentata in mostra da matrici di Volpato e Rossini.

Le repliche galvaniche: il calco in piombo

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I principi elettrolitici che determinano la galvanoplastica (o elettroformatura) sono gli stessi già enunciati per la galvanostegia. L’unica differenza sostanziale si rileva nella maggiore quantità di metallo che si fa depositare sul catodo e nel fatto che quest’ultimo è, generalmente, un calco dell’oggetto originale da riprodurre. Dopo l’elettrodeposizione del metallo sul calco, raggiunto lo spessore desiderato, avviene la separazione tra l’impronta e la sua perfetta replica in controforma.

La possibilità di replicare una matrice originale con il sistema suscitò immediato interesse. L’acciaiatura delle matrici calcografiche infatti garantiva la protezione dell’inciso, ma non l’incolumità delle lastra di rame dai danni provocati dal torchio di stampa.

Le galvanoplastiche storiche, tuttora conservate nella Calcoteca dell’Istituto Nazionale per la Grafica, testimoniano però i problemi connessi ai procedimenti utilizzati: alla soddisfacente rispondenza dell’inciso tra matrice originale e replica galvanica si contrapponevano la estrema morbidezza del rame elettrolitico – che si imbarcava vistosamente e in breve tempo sotto i cilindri del torchio calcografico – e il sistema di calco (una lamina di piombo pressata fortemente sulla matrice originale per mezzo di un torchio piano) che poteva compromettere l’integrità dell’originale inciso.

Il ruolo della Calcografia

I primi segni di interesse della Calcografia Romana per la galvanoplastica risalgono alla metà dell’Ottocento.

Qualche specifica sollecitazione venne forse dal rapporto con l’incisore Luigi Calamatta, che durante gli anni di lavoro a Parigi s’era avvalso più volte di tale tecnologia. Non v’è però dubbio che l’interesse per le molteplici possibilità di applicazione della galvanoplastica serpeggiasse anche in Italia, nell’ambiente calcografico.

Non a caso nelle raccolte dell’Istituto si conserva un piccolo fondo di quattro controforme e ventotto repliche galvaniche, nel quale sono confluiti due nuclei che hanno storie diverse al di là della comune acquisizione ottocentesca da parte della Calcografia Romana.

Il primo nucleo è costituito da diciannove repliche galvaniche di una matrice incisa da Giuseppe Marcucci con il Ritratto di Pio IX, che già nel 1861 erano nel catalogo della Calcografia; il secondo, acquistato tra il 1887 e il 1888, da quattro controforme e otto repliche relative a quattro matrici originali del Calamatta, incise a Parigi in anni diversi (Francesca da Rimini, la Sorgente, la Gioconda, la Madonna della Seggiola).

È assai più di una probabilità che repliche e controforme non soltanto risalgano agli stessi anni delle matrici originali ma siano state suggerite da opportunità e necessità commerciali.

Calamatta infatti incideva e faceva stampare a Parigi, ma pubblicava a Londra e a Parigi: di qui l’urgenza di repliche da affidare ai vari editori, talune con iscrizioni nella lingua della nazione nella quale si prevedeva di vendere le stampe e altre senza alcuna iscrizione, da completare all’occorrenza. Mentre il Ritratto di Pio IX di Giuseppe Marcucci era destinato ad un “volumetto delle notizie solito a pubblicarsi ogni anno per cura del Ministero dell’Interno”: una destinazione che, almeno a livello di previsioni, implicava la necessità di un quantitativo di stampe maggiore di quello che la “forza” di una sola matrice potesse garantire, oltre che l’opportunità di avvalersi contemporaneamente di molteplici stamperie.

Molti anni trascorreranno prima che il recupero critico delle valenze artistiche delle matrici e il progresso della tecnologia lascino intravedere il sistematico ricorso alle repliche galvaniche quale metodo per evitare l’usura delle matrici originali.

Un primo passo in questa direzione si farà tra il 1922 e il 1930.

Ma soltanto nel 1995 inizia quello che potrebbe costituire l’ultimo capitolo della vicenda.

 Le repliche galvaniche: le sperimentazioni attuali

Nel 1995 il Laboratorio Diagnostico per le Matrici dell’Istituto Nazionale per la Grafica ha proposto l’uso di gomme siliconiche colabili quale alternativa al procedimento meccanico di calco degli originali.

La sperimentazione effettuata con il contributo dell’Istituto Centrale per il Restauro su diversi tipi di gomme siliconiche è risultata incoraggiante, sia riguardo alla fedeltà di impronta dell’inciso, sia riguardo ad eventuali problemi di conservazione del rame originale.

Si è dovuto quindi affrontare il problema di rendere conduttivo, con la metallizzazione, il calco in silicone, requisito essenziale perché questo potesse essere utilizzato in un procedimento galvanico.

In cooperazione con l’ENEA si sono fatti, e sono tuttora in corso, tentativi in tal senso, utilizzando l’avanzata tecnologia dello sputtering (sublimazione metallica sottovuoto).

Con la collaborazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato si è poi escogitato di trarre dalla prima impronta maschio, in gomma siliconica, un nuovo calco negativo in resina epossidica, che è facilmente metallizzabile.

Mediante elettroformatura si è prodotto un nuovo maschio in rame dal quale, col successivo bagno galvanico, si è ottenuta la replica definitiva in nichel della matrice calcografica.

La verifica oggettiva, supportata dalle analisi strumentali effettuate sia dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato che dal Laboratorio Diagnostico dell’Istituto Nazionale per la Grafica ha permesso di constatare un’apprezzabile rispondenza dell’inciso, anche nelle peculiarità della tecnica esecutiva, pur notando una lieve differenza tra la qualità superficiale del metallo di supporto della matrice originale e quella della galvanoplastica: differenza che si potrebbe definire fisiologica del procedimento elettrolitico e che, in ogni modo, non ha influenzato il risultato a stampa della replica galvanica.

Su questa base l’Istituto Nazionale per la Grafica ha avviato il Progetto Sperimentale di duplicazione delle proprie matrici, del quale qui si presentano talune fasi intermedie.

La replica galvanica dell’Ercole di Giorgio Ghisi, appena ultimata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, interlocutore storico della Calcografia Romana, ne costituisce il primo risultato.

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